Ho ricominciato proprio ieri 19 Marzo a dipingere, dopo (tranne qualche eccezione) una trentina d’anni. Non ho potuto far niente né con matita, né coi pastelli, né con la china. Ho preso un barattolo di colla ho disegnato e dipinto insieme, rovesciando direttamente il liquido sul foglio. Ci sarà una ragione per cui non mi è venuta mai l’idea di frequentare qualche liceo artistico o qualche accademia. Solo all’idea di fare qualcosa di tradizionale mi dà la nausea, mi fa stare letteralmente male. Anche trent’anni fa mi creavo delle difficoltà materiali. Per la maggior parte i disegni di quel periodo li ho fatti col polpastrello sporcato di colore direttamente dal tubetto, sul cellophan; oppure disegnavo direttamente col tubetto, spremendolo. Quanto ai quadri veri e propri, li dipingevo su tela di sacco, lasciata il più possibile ruvida e piena di buchi, con della collaccia e del gesso passati malamente sopra. Eppure non si può dire che fossi (e eventualmente sia) un pittore materico. Mi interessa più la «composizione» — coi suoi contorni — che la materia. Ma riesco a fare le forme che voglio io, coi contorni che voglio io, solo se la materia è difficile, impossibile; e soprattutto se, in qualche modo, è «preziosa». I pittori che mi hanno influenzato nel ‘43 quando ho fatto i primi quadri e i primi disegni sono stati Masaccio e Carrà (che non sono, appunto, pittori materici). Il mio interesse per la pittura è cessato di colpo per una decina o una quindicina d’anni, dal periodo della pittura astratta a quello della pittura «pop». Ora l’interesse riprende. Sia nel ‘43 che adesso i temi della mia pittura non possono che essere stati e essere famigliari quotidiani, teneri e magari idillici. Malgrado la presenza cosmopolita di Longhi — la mia Nous nemmeno pregata, allora, tanta era l’adorazione —la mia pittura è dialettale: un dialetto come «lingua per la poesia». Squisito, misterioso: materiale da tabernacoli. Sento ancora — quando dipingo — la religione delle cose. Forse una parentesi di trent’anni fa sì, che in questo campo, il tempo non sia passato, e io mi ritrovi, davanti a una tela, al punto in cui ho smesso di dipingere. Naturalmente tra i miei idoli (dimenticavo) c’era anche Morandi. Non posso allora tacere il mio immenso amore per Bonnard (i suoi pomeriggi pieni di silenzio e di sole sul Mediterraneo). Vorrei poter fare un quadro un po’ simile a un suo paesaggio provenzale che ho visto nel piccolo museo di Praga. Nel peggiore dei casi, vorrei poter essere un piccolissimo pittore neo-cubista. Ma mai, mai, potrò usare il chiaroscuro, né soffiare il colore, con la spugnosa purezza e perfetta pulizia che sono necessarie al cubismo. Ho bisogno di una materia espressionistica, senza possibilità di scelta. (Come si vede, anche i dilettanti hanno i loro appassionati problemi). Scritto da Pasolini nel 1970 e pubblicato postumo. tratto da: |